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giovedì 21 ottobre 2010

Popper karl il pensiero


I due problemi fondamentali della conoscenza

Il problema della demarcazione è il problema di distinguere fra ciò che è scientifico e ciò che non lo è. Quando abbiamo una proposizione possiamo valutare se appartiene all'ambito scientifico, oppure no. È importante definire un confine alla scienza. Il criterio di verificazione dei neopositivisti è un criterio di significato e non di demarcazione. Secondo Popper è più importante stabilire se una frase appartiene al mondo della scienza, piuttosto che vedere se una frase ha significato o meno. Propone quindi il criterio di falsificabilità: "una proposizione appartiene all'ambito della scienza se e solo se è falsificabile". Per falsificarla basta trovare un caso che va contro alla legge, per esempio trovare un corvo bianco, se abbiamo ipotizzato che tutti i corvi siano neri. Il criterio di falsificabilità di Popper è un criterio di demarcazione e non di significato, perché se una proposizione non è scientifica può comunque aver significato.
Il problema dell'induzione: Popper afferma che l'induzione non esiste né come metodo scientifico né nella vita comune. Secondo Popper non arriviamo alla conoscenza per induzione, cioè accumulando più esperienze (vedo un corvo nero, ne vedo un altro e un altro ancora e quindi ne deduco che "tutti i corvi sono neri"). Questo perché non esistono delle inferenze induttive. Popper è drastico: non esiste alcun metodo induttivo, l'induzione non esiste, né nel metodo scientifico, né in nessun altro campo conoscitivo.
Il problema dell'induzione non viene risolto, ma dissolto. Non solo le inferenze induttive non sono valide (come aveva già dimostrato Hume), ma non si può procedere - né di fatto gli scienziati procedono - da asserzioni singolari, quali i resoconti di risultati di osservazioni ed esperimenti (per quanto numerosi essi siano) ad asserzioni universali (ipotesi e teorie), né per stabilirne la verità, né per determinarne il grado di probabilità.
"L'induzione, cioè l'inferenza fondata su numerose osservazioni è un mito. Non è né un fatto psicologico, né un fatto della vita quotidiana, e nemmeno una procedura scientifica. (…) Il procedimento effettivo della scienza consiste nell'operare attraverso congetture. (…) Le osservazioni e gli esperimenti reiterati fungono, nella scienza, da controlli delle nostre congetture od ipotesi, costituiscono, cioè, dei tentativi di confutazione". Secondo Popper esiste un ragionamento deduttivo, come ad esempio la dimostrazione di un teorema, ma non esistono ragionamenti induttivi. Perché dal punto di vista logico noi non possiamo mai osservare tutti i casi particolari e trovare il caso che non conferma la regola. Come diceva Hume non c'è connessione necessaria tra causa e effetto. Si potrebbe pensare che in alcuni casi della scienza si usi l'induzione. Es: "la massa di un corpo rimane costante indipendentemente dal tempo e dal luogo", perciò per quanti controlli faccio, la massa rimane invariata. Secondo il metodo induttivo (di Bacone e Mill) non ci si deve fidare di una semplice enumerazione dei casi, ma devono essere introdotti dei metodi. Russell per dimostrare che l'induzione non esiste fa l'esempio del "tacchino induttivista": c'è un tacchino che segue il metodo di Bacone e vuole controllare le sue conoscenze col metodo induttivo. Vede che il primo giorno il padrone porta il cibo alle 9, e così tutti i giorni sempre alla stessa ora. Arriva alla conclusione che ogni giorno alle 9 il padrone porta da mangiare. Vuole però dei controlli più accurati, come quelli ipotizzati da Mill, e quindi inizia a osservare se l'ora del cibo cambia se per esempio piove, o è estate o inverno. A Natale il padrone tira il collo al tacchino. Non può prevedere l'evento eccezionale, anche se ha fatto tutte le verifiche. Come il tacchino non può prevedere il futuro, così gli scienziati del '700 non potevano immaginare che alla velocità della luce la massa aumentava (come invece scopre Einstein). Questo dimostra che per quante casi noi possiamo prendere in considerazione, noi non possiamo controllare tutte le possibilità perché sono infinite. Russell affermava che l'induzione, pur non essendo logicamente fondata, nonostante tutto veniva accettata talvolta dagli scienziati e anche dal senso comune, in mancanza di meglio. Popper invece non accetta l'induzione perché essa non esiste; in realtà spesso ci basta anche un solo esempio per formulare un'ipotesi.
Per Popper quindi la nostra conoscenza procede per tentativi e correzioni degli errori, non siamo mai certi della verità delle leggi che usiamo. Galileo aveva affermato che la scienza si basa su sensate esperienze e necessarie dimostrazioni (componente deduttiva). Per Popper i dati empirici, come i risultati degli esperimenti, hanno la sola funzione di controllo, il primo passo è l'ipotesi. L'ipotesi non è frutto dell'esperienza, ma è frutto della congettura.
Un'ipotesi scientifica, e come tale universale, può essere logicamente falsificata da un dato osservativo ("asserzione-base"); ma c'è una difficoltà, in realtà non esistono, né possono esistere dati osservativi "puri". I risultati degli esperimenti, le "registrazioni" degli scienziati sono sempre impregnati di teoria (theory soaked o theory impregnated), cioè il risultato dell'esperimento implica l'accettazione di una conoscenza di sfondo, che a volte dipende da altre assunzioni teoriche, diverse da quelle che si vogliono controllare. In linea di principio è impossibile separare nettamente i dati dalle teorie, ma nella pratica della ricerca scientifica, di fatto, ci si arresta nel controllo ad asserzioni sulla cui accettazione i ricercatori possono facilmente accordarsi, anche se secondo Popper, da un punto di vista logico, qualunque asserzione può essere controllata ulteriormente per mezzo di un'altra che sia dedotta da essa con l'ausilio di una teoria. E' introdotto un criterio convenzionale, ma esso riguarda solo l'accettazione degli asserti-base, non certo la validità delle teorie scientifiche.
Torniamo al principio di demarcazione: prendiamo la scoperta del pianeta Nettuno.
Consideriamo l'orbita di Urano, che tra l'altro ha massa molto maggiore di Nettuno. Attraverso dei calcoli, basati sulla meccanica di Newton, prevedo che Urano fra 10 giorni sarà in un tal posto, ma dopo 10 giorni vedo che anziché trovarsi lì, si trova in un altro luogo, anche se non molto lontano. Nella metà dell'800 gli scienziati affermano che questi errori di previsione non dipendono dalle leggi di Newton (gravitazione universale), perché si pensa siano dovuti al fatto che c'è un altro pianeta che, con la sua massa, perturba l'orbita di Urano. Questo pianeta esercita un'attrazione gravitazionale su Urano e devia la sua traiettoria. Perciò tenendo in considerazione la posizione di Urano e le leggi fisiche, riuscivano a calcolare la posizione esatta di Nettuno. Puntarono il telescopio dove doveva trovarsi Nettuno e lo videro! Vediamo che in questo caso il tentativo di falsificazione della legge scientifica si tramuta in una conferma della stessa.
Abbiamo delle leggi: gravitazione universale di Newton
Abbiamo dei dati: movimento di Urano
Abbiamo come conseguenza: esistenza di Nettuno
Quando la previsione è falsa (Urano doveva trovarsi in un posto preciso e invece non è lì) ci sono due possibilità: o ci mancano dei dati o è sbagliata la legge che si utilizza. In questo caso introducendo nuovi dati la previsione è stata corretta.
Se ci chiediamo, invece, perché il perielio di Mercurio si sposta, potremmo affermare che avviene perché c'è un altro pianeta, (l'ipotetico Vulcano) ma questo pianeta non si vede, non esiste. Oppure introduciamo nuove ipotesi: il sole ha una massa, ma la massa potrebbe essere distribuita in modo non omogeneo rispetto al volume, più concentrata da una parte piuttosto che da un'altra e questa dislocazione anomala potrebbe spiegare lo spostamento del perielio di Mercurio, ma questa ipotesi allo stato attuale della scienza non è controllabile empiricamente. Oppure, come fece Einstein, possiamo pensare che le leggi di Newton siano false.
Obiezione: ma allora ogni volta che la previsione non funziona, noi possiamo "salvare la legge" formulando un'ipotesi ad hoc (appositamente per impedire la falsificazione dell'ipotesi), cioè un'ipotesi non ulteriormente controllabile. Popper affermava che si può sempre immunizzare le teorie, cioè formulare delle ipotesi per non falsificare le leggi.
Galileo falsifica la teoria aristotelica, affermando che la luna non è sferica; il gesuita Cristoforo Clavio aveva formulato un'ipotesi per immunizzare la teoria aristotelica (la luna è circondata da una sfera cristallina perfetta, che però non può essere vista).
La tesi di Popper è che si possono formulare ipotesi alternative, però queste ipotesi sono valide dal punto di vista scientifico solo se sono controllabili indipendentemente dai motivi per cui sono state introdotte. Ma se l'ipotesi è formulata in modo che non può essere controllabile, allora non è valida.
In conclusione: non è sempre immediato vedere se una teoria è stata falsificata, ma ci possono essere dei dubbi. Ciò non mette comunque in crisi il principio di falsificazione, perché si deve distinguere l'aspetto logico (basta che trovi un caso contrario, perché l'ipotesi sia falsa) e aspetto metodologico della falsificazione (il problema è dovuto al fatto che non siamo sicuri che l'esperienza che falsificherebbe l'ipotesi sia vera; per esempio, se l'ipotesi è che tutti i corvi sono neri, e vedo passare un corvo bianco, magari qualcuno ha dipinto il corvo di bianco; perciò si fanno molti esperimenti per verificare che il falsificatore sia effettivo).
Popper pensa che la base empirica delle scienze non ha in sé nulla di "assoluto". La scienza non posa su un solido strato di roccia. E' come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall'alto, giù nella palude: ma non in una base naturale o "data"; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più in fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido.
Contro l'antinduttivismo di Popper sono state mosse varie critiche. E' stato sostenuto:
1) La presunta esistenza di una "razionalità induttiva".
Nell'ambito del neopositivismo e della filosofia analitica, si è sostenuto che la critica di Hume (condivisa da Popper) dimostra solo che l'inferenza induttiva non è valida dal punto di vista della logica deduttiva, ma si può sempre sostenere che .l'inferenza induttiva, oltre ad esistere di fatto, è induttivamente valida, cioè conforme ad una procedura razionale, ad una "razionalità induttiva".
Per Popper non esistono di fatto procedure induttive; ma anche se esistessero, anche se noi "ragionassimo" induttivamente, il "fatto" non ne proverebbe la validità. Per Popper tutte le argomentazioni che si basano sulla mancata distinzione di quid facti e quid iuris non sono altro che tentativi di far tornare in vita una teoria accantonata molto tempo fa da Hume e Kant; e coloro che oggi cercano di farla rivivere calpestano irriverentemente il lavoro di questi grandi uomini senza curarsi di controbattere le loro argomentazioni e neppure di capirle. In realtà mentre per le inferenze deduttive possediamo un metodo di controllo critico oggettivo (se un'inferenza deduttiva è valida, non può esistere alcun controesempio), nulla di simile esiste per le cosiddette "inferenze induttive".
2) La presunta giustificazione trascendentale dell'induzione.
Si è sostenuto che nel passaggio dalle intuizioni (nel senso kantiano del termine) alla categorizzazione delle proprie percezioni, riconosciute come percezioni di oggetti, è necessario trascendere induttivamente i dati sensibili che si danno nell'esperienza immediata. affermando che per poter riconoscere che le nostre facoltà percettive sono valide abbiamo bisogno che ci venga soddisfatta la maggioranza delle nostre aspettative induttive, mentre in caso contrario non potremmo sapere se i mutamenti che percepiamo nel corso della natura non siano dovuti alla natura stessa, piuttosto che a qualche stravolgimento avvenuto in noi. Le difficoltà incontrate dal tentativo di Popper di sviluppare una metodologia autenticamente non induttiva non sarebbero un risultato casuale, ma avrebbero profonde radici nei fatto che la credenza nell'induzione non è qualcosa che possa essere eliminata senza provocare alterazioni sostanziali in qualche altra parte del nostro schema concettuale. La razionalità dell'induzione sarebbe un tutt'uno con la razionalità della credenza in un mondo esterno oggettivo.
Per Popper, invece, l'uomo impara a decodificare i messaggi caotici che incontra nel suo ambiente fin da bambino. Questa decodificazione è basata anche su disposizioni innate. Ma anche le aspettative istintive od inconsce (per esempio, che uno stesso oggetto, percepito in condizioni simili, dia luogo a rappresentazioni simili) non sono aspettative induttive, non sono un trascendimento induttivo dei dati. Noi impariamo comunque a decodificare per tentativi ed eliminazione degli errori e sebbene noi diventiamo estremamente abili e rapidi a sperimentare il messaggio decodificato come fosse "immediato" o "dato", vi sono sempre alcuni errori, corretti di solito da speciali meccanismi di grande complessità e considerevole efficacia. Così l'intera storia dei dati puri, veri, con la relativa certezza, è una teoria sbagliata, sebbene sia parte del senso comune. Per Popper tutta la conoscenza acquisita consiste nella modificazione o nel rigetto di conoscenze o disposizioni precedenti, in ultima analisi di disposizioni innate. Egli scrive: "Non vi è organo di senso in cui non siano geneticamente incorporate teorie anticipative".
3) L'induzione sarebbe necessaria per formulare nuove teorie.
Se la formulazione di un'ipotesi fosse un trial casuale, un tentativo cieco di indovinare, allora non si riesce a spiegare la scelta di un'ipotesi come meritevole di attenzione e di essere sottoposta a controlli. Siccome i tentativi sono infiniti, il fautore del metodo delle congetture e confutazioni si troverebbe in un'impasse logica. E non ci sarebbe modo di uscire da questa difficoltà, se non ammettendo che le ipotesi sono conclusioni di ragionamenti induttivi.
Popper replicherebbe affermando che è vero che esistono infinite ipotesi: da un punto di vista logico un evento o una serie di eventi possono essere spiegati da una gamma infinita di possibili teorie. Di fatto però una nuova ipotesi emerge in seguito alla falsificazione di teorie precedenti. Per esempio, Keplero, avendo a disposizione osservazioni che falsificavano la teoria aristotelico-tolemaica che prevedeva orbite circolari dei corpi celesti, si è trovato di fronte al problema di definire le orbite dei pianeti (delle tre coordinate polari: angolo azimutale, angolo zenitale e distanza, quest'ultima non era empiricamente osservabile e poteva assumere infiniti possibili valori). Per formulare la sua prima legge ha combinato credenze metafisiche (l'aspettativa di qualche regolarità nel cosmo) e conoscenze scientifiche precedenti. Se l'ipotesi più semplice, quella ellittica, che ha guidato le sue osservazioni astronomiche, fosse stata falsificata, sarebbe presumibilmente passato a controllare ipotesi meno semplici. Popper ha più volte rifiutato il principio di semplicità come criterio di accettazione di una teoria (a differenza dei convenzionalisti), ma non l'ha mai escluso come uno dei tanti motivi extralogici che contribuiscono all'elaborazione di nuove congetture. Anzi, per Popper in questo campo non ci sono limiti. Scrive: "Alcuni scienziati ritengono, o almeno così pare, di avere le loro idee migliori mentre fumano, altri mentre bevono caffè o whisky. Perciò non c'è motivo per cui non dovrei ammettere che alcuni possono avere le loro idee mentre osservano, o mentre ripetono le loro osservazioni". Ma ciò in modo in parte accidentale, non certo per inferenza induttiva o sulla base di una presunta logica induttiva.
4) L'induzione sarebbe necessaria per il controllo delle teorie, anche se non interviene nella scoperta di nuove ipotesi.
È forse la convinzione più diffusa tra i neopositivisti ed è stata per lungo tempo la posizione di Hempel. Come è noto per Popper, all'opposto, il controllo delle teorie sulla base dell'esperienza può avvenire solo tentando di falsificarle; non è possibile alcuna verifica sperimentale delle teorie. Su questa tesi di Popper si sono sviluppate varie critiche.
Marcello Pera, filosofo della scienza ed ex presidente del Senato della Repubblica, ha sostenuto che, quando si giudica che una teoria è falsa perché confutata, si assume che essa continuerà a essere confutata, cioè che gli esiti negativi dei controlli passati permarranno anche in futuro. Senza questa assunzione induttiva noi saremmo costretti a prendere in seria considerazione qualunque teoria comunque confutata e quindi a non eliminarne mai alcuna. La regola di rifiuto del razionalismo critico di Popper che vieta questo comportamento è pertanto una regola induttiva.
Queste argomentazioni sono fallaci, assolutamente inaccettabili dal punto di vista logico: infatti qualora non sussistano dubbi sul fatto che una teoria sia stata falsificata da un esperimento, la teoria è falsa e viene scartata quale candidata alla verità, indipendentemente da ogni previsione sul funzionamento futuro (anche se questa teoria fornisse in futuro previsioni corrette per migliaia di anni, per Popper resterebbe inevitabilmente ed ineluttabilmente falsa!). Ovviamente può ancora essere usata, quale sufficiente approssimazione, per fare previsioni (è il caso della meccanica newtoniana, falsificata dalla relatività di Einstein). Altrettanto ovviamente, poiché gli scienziati non raggiungono mai l'assoluta certezza sulla avvenuta falsificazione (come si è visto, tutti i dati e i responsi sperimentali sono impregnati di teoria) l'esperimento falsificante viene spesso ripetuto, ma non per qualche inconscia aspettativa induttiva, bensì per controllare che la falsificazione sia accettabile come tale, che l'esito dell'esperimento non sia determinato da errori strumentali o dall'esistenza di fattori perturbanti ancora sconosciuti.
Premesso quindi che anche una teoria scientifica falsificata può comunque rivestire un'utilità per la tecnologia e può essere usata, basta che costituisca un'approssimazione sufficientemente buona per lo scopo prefisso, pare del tutto razionale fidarsi di quelle teorie non ancora falsificate, e che quindi sono "candidate alla verità". Tuttavia, scrive Popper: "Le possibilità di sopravvivenza di una teoria non crescono, penso, parallelamente al suo grado di corroborazione, o al suo passato potere di sopravvivere ai controlli. Il mio rifiuto di scommettere sulla sopravvivenza di una teoria ben corroborata dimostra che io non traggo alcuna conclusione induttiva dalla sopravvivenza passata a quella futura". E ancora: "Naturalmente, se delle leggi reali (a noi ignote) hanno effettivamente operato in passato (come io credo), continueranno a farlo anche in futuro. Ma questa asserzione non si basa sull'induzione: si basa sul fatto che noi spieghiamo i mutamenti con l'aiuto di leggi immutabili, e che dovremmo rifiutarci di chiamare una legge vera (o reale) qualsiasi cosa che non "operi" - che non sia cioè valida - sempre e dovunque".
5) La concezione "probabilistica" dell'induzione.
L'inferenza induttiva, pur non garantendo la verità della conclusione, ne fonderebbe un certo grado di probabilità. Il rapporto tra probabilità e induzione è stato approfondito con chiarezza in particolare da Reichenbach e Russell.
Nell'ambito della concezione probabilistica sono stati costruiti dei sistemi di logica induttiva, di cui quelli di Rudolf Carnap e Jaakko Hintikka sono i più significativi. Popper ha sempre contrastato la concezione probabilistica, ancor prima del sorgere della logica induttiva, e nel paragrafo 80 della Logica ha sostenuto che tutte le leggi fisiche, in quanto proposizioni universali, hanno probabilità zero, poiché si riferiscono ad un dominio infinito. In effetti, mentre nei sistemi di logica induttiva di Carnap le leggi universali hanno tutte probabilità zero, Hintikka riesce ad attribuire una probabilità maggiore di zero ad enunciati universali, ma nell'ambito di un linguaggio estremamente "povero" (predicati monadici, numero finito di alternative teoriche ecc.) nel quale non è possibile formulare nemmeno le leggi più semplici delle scienze della natura. Non solo, ma come mostra lo stesso Hintikka, per evitare i famosi paradossi della conferma di Hempel, anche nel caso più semplice del linguaggio con solo predicati non relazionali, diviene necessario introdurre un numero impressionante di parametri, il cui valore non può essere stabilito a priori. Si può quindi concludere che i sistemi di logica induttiva, pur se consistenti, non sono idonei rispetto allo scopo iniziale di Carnap, che era quello di trovare una funzione di conferma di un'ipotesi sulla base di evidenze osservative; quindi l'esistenza di sistemi di logica cosiddetta "induttiva" non fornisce, allo stato attuale degli studi, alcuna valida motivazione a sostegno della plausibilità dell'inferenza induttiva nelle scienze della natura.
Molte delle argomentazioni esaminate derivano dalla convinzione che negare l'induzione equivalga a negare che si possa apprendere dall'esperienza.
Ha scritto B. Russell che se non si trova una risposta alla critica di Hume al principio di induzione, all'interno di una filosofia del tutto o per lo più empirista, "non c'è neanche alcuna differenza intellettuale tra la saggezza e l'insania". E il filosofo italiano della scienza Ludovico Geymonat: "Si ha l'impressione che, negando ogni valore al principio di induzione, cioè negando che esso adempie una qualsiasi funzione nell'invenzione delle teorie scientifiche, Popper finisca per rifiutare uno dei due fattori che già Galileo aveva posto alla base della conoscenza scientifica (come ben noto i due fattori sono: le sensate esperienze e le certe dimostrazioni) non sembra lecito risolvere questo antico problema con la semplice cancellazione di uno dei due fattori (cioè l'esperienza)".
Infine un neopositivista italiano, Francesco Barone liquida con una sola battuta la confutazione popperiana del principio di induzione, con la domanda: "Perché, infatti, non riteniamo ugualmente ragionevole l'attenderci manna anziché pioggia da una nuvola?" Popper ha sempre risposto ad obiezioni di questo genere affermando che non ha mai inteso cancellare il ruolo dell'esperienza: semplicemente ha preso atto che l'esperienza, dal punto di vista logico, può solo falsificare e non verificare le teorie, per la nota asimmetria. Aggiungiamo che, anche ammesso che in qualche modo si possa apprendere direttamente dall'esperienza, ciò non implica l'accettazione del principio di induzione.
Infatti, se affermo: (a) "le nuvole possono lasciar cadere acqua", (b) "le nuvole possono lasciar cadere manna" queste ipotesi sono, da un punto di vista logico (a priori), egualmente possibili. Tuttavia, dopo aver fatto esperienza della pioggia, posso accettare (fatte salve tutte le cautele dovute al fatto che i responsi dell'esperienza non sono mai puri, ma impregnati di teoria) la verità di(a), che dal punto di vista logico equivale a "esiste almeno una nuvola che lascia cadere acqua"? Questo potrebbe essere un modo di apprendere dall'esperienza (chi teme di bagnarsi prende l'ombrello). Per Popper questo punto di vista è scorretto, poiché i concetti universali "nuvole" e "acqua", come tutti i termini universali, sono "disposizionali" e quindi implicano assunzioni teoriche anticipative, apprese col metodo per tentativi e correzione degli errori. Quindi l'osservazione di fatti, la registrazione nella memoria di esperienze vissute ecc., anche a livello del senso comune (pre-scientifico), è di fatto una concausa che può indirizzare la nostra mente a formulare congetture in grado di spiegare i fenomeni. Tuttavia, anche a prescindere da questa teoria popperiana sugli universali, è evidente che l'accettazione di un'asserzione esistenziale come "esiste almeno una nuvola che lascia cadere l'acqua" equivale ad accettare: non è vero che tutte le nuvole non possono lasciar cadere acqua". Quest'ultima proposizione ha la stessa forma logica (di negazione di legge universale) di: "non è vero che tutte le nuvole non possono lasciar cadere manna". Perché accettiamo la prima e non la seconda? Popper direbbe perché "tutte le nuvole non possono lasciar cadere acqua" è già stata sicuramente falsificata, mentre "tutte le nuvole non possono lasciar cadere manna" non è stata falsificata e rimane candidata alla verità. E' certamente più razionale credere ad una congettura che potrebbe essere vera, piuttosto che ad una sicuramente falsa.
Riconoscere che si apprende dall'esperienza dunque non implica certamente la validità dell'inferenza induttiva nel senso tradizionale del termine, che è poi quello a cui si riferisce Popper nella sua critica.
Già Aristotele affermava che l'induzione è il procedimento che dai particolari porta all'universale. E Popper: "Si è soliti dire che un'inferenza è induttiva quando procede da asserzioni singolari quali i resoconti di osservazioni o di esperimenti ad asserzioni universali quali ipotesi o teorie"; e ancora: "Io preferisco usare il termine "induzione" per riferirmi al mito che la ripetizione di qualcosa - osservazioni o esempi, forse - fornisca qualche base razionale per l'accettazione di ipotesi". Per Popper ovviamente "nulla dipende dalle parole e nulla vieta di chiamare induzione qualcosa di diverso". Se però si vuol criticare la tesi popperiana è necessario tener ben presente il significato che Popper ha sempre attribuito a questo termine.
Popper riprende la teoria corrispondentista della verità, cioè la tesi secondo cui una proposizione è vera se, e solo se, corrisponde ai fatti; teoria che era stata messa in crisi da una serie di paradossi:
Paradosso del mentitore: un cretese, Epimenide di Cnosso, dice "io dico che sto mentendo". Se dico che la frase è vera, è vero che sta mentendo e quindi dice il falso. Se la frase è falsa, è falso che sta mentendo e quindi dice il vero. Si contraddice in entrambi i casi.
Prendiamo un foglio di carta: la frase scritta su una facciata dice "ciò che c'è scritto sul retro del foglio è vero", quella sull'altra facciata dice "ciò che c'è scritto sul retro è falso".
Anche qui la situazione genera una contraddizione.
Il barbiere di Bertrand Russell: su un'isola in cui nessuno ha la barba c'è un barbiere che è definito come colui che rade tutti quelli che non si radono da soli e per ipotesi nessuno si fa crescere la barba. Chi rade il barbiere?
Nel 1933 Alfred Tarski pubblica un libricino prima in polacco (1933) poi in tedesco (1935): "Il concetto di verità nei linguaggi formalizzati". Tarski diceva che non c'è nessuna contraddizione nella tesi corrispondentista, perché fa vedere che questi paradossi nascono da una confusione tra linguaggio e metalinguaggio e non dalla concezione della verità. Il linguaggio parla del mondo, il metalinguaggio parla del linguaggio (se dico Roma è una parola di quattro lettere, non penso a Roma come città). Se si mantiene una distinzione tra linguaggio e metalinguaggio (per esempio il linguaggio in inglese e il metalinguaggio in tedesco) non si cade in contraddizione. Secondo Popper questo concetto di verità come corrispondenza è valido. Tarski formula la cosiddetta "convenzione V": la frase è vera se e solo se corrisponde ai fatti. Se dico "la neve è bianca" è vera se e solo se la neve è bianca. Il vero e il falso si riferiscono alle frasi: il vero si ha se la frase corrisponde al mondo, il falso se non corrisponde al mondo. Perciò è vera la teoria corrispondentista. Popper inizialmente non aveva letto Tarski e quindi non aveva usato il suo concetto di verità nella Logica della scoperta scientifica. Quando lo lesse, accettò la sua posizione. Applicandola alle scienze: se le leggi scientifiche le possiamo solo falsificare, io non sono mai sicuro delle verità di esse, tuttavia non è insensato parlare di verità.
Secondo Popper l'attività scientifica serve a scoprire delle leggi che si approssimano alla verità. Anche se una legge raggiunge la verità, noi non possiamo comunque saperlo. Se una legge non è mai falsificata allora la si usa come se fosse vera. Magari la fisica di Einstein è verità assoluta, ma non possiamo sapere se un giorno saranno scoperte altre teorie più complesse e generali, che la renderanno falsa in almeno un caso.
Es: uno scalatore si ferma su una zona pianeggiante della montagna. C'è la nebbia: non sa se ha raggiunto la vetta o se deve scalare ancora.

Rapporto con l'Olismo
Problema della conoscenza di sfondo.
Es: Urano doveva trovarsi in un punto ben preciso, prima della scoperta di Nettuno. Ma in quel punto, puntando il telescopio, non si trova. Quindi ci sono tre possibilità: È sbagliata la legge astronomica di Newton. Ci manca un dato, ossia l'esistenza di Nettuno. Difetto nelle leggi dell'ottica, perché io posso pensare che i raggi luminosi siano dritti, mentre è possibile che vengano deviati. Siccome i fenomeni scientifici sono tutti collegati tra loro, se gli scienziati stanno facendo una verifica sulle leggi di Newton, considerano le leggi ottiche come conoscenza di sfondo, cioè le considerano vere, indipendente dal controllo sperimentale in atto. Alcuni neopositivisti dicono che è come se l'uomo di fronte alla scienza sia come l'equipaggio di una nave che deve ripararla continuando a navigare: non si può mai isolare un pezzo della scienza dall'altro, perché c'è una sorta di olismo (tutte le teoria sono collegate tra loro e noi prendiamo come conoscenza di sfondo delle leggi che consideriamo vere, ma che non siamo certi se lo siano davvero o no).

I tre mondi di Popper
È un argomento tratto da "L'io e il suo cervello" opera in tre volumi (uno filosofico, uno medico, uno a forma di dialogo), scritta insieme a Eccles, un medico, premio Nobel.
Popper dice che la realtà è articolata in tre mondi:
* Mondo 1: Stati fisici, tutto ciò che è fatto di materia.
* Mondo 2: Stati mentali, disposizioni psicologiche, contenuti mentali, rappresentazioni, ricordi, sentimenti, ecc..
* Mondo 3: Mondo dei prodotti della mente umana.(libri, teorie, opere d'arte, ecc.)
Premessa: storicamente noi abbiamo visto concezioni dualiste che credono nell'esistenza di due realtà (fisica e spirituale, come ad esempio Cartesio). Abbiamo poi teoria moniste (Spinoza).
La descrizione dei tipi di realtà per Popper è a tre livelli. Simile a quello sostenuto da Locke nel Saggio sull'intelletto umano(mondo fisico, mondo delle idee, linguaggio), il cui livello del "linguaggio" è meno ricco del terzo mondo di Popper.
Mondo dei prodotti della mente umana. Es: il libro come oggetto fisico appartiene al mondo degli stati fisici; supponiamo che un tipografo abbia stampato un libro che contiene i medesimi caratteri, ma mescolati; in questo caso il libro come oggetto fisico è lo stesso. Ma il primo libro contiene anche le idee.
Il terzo mondo è rappresentato sia da oggetti del mondo 1 che contengono idee (dotati di significato) oppure possono essere teorie immateriali (come il teorema di Pitagora in sé).
Problemi: Non si può provare che esiste questo terzo mondo. Risposta: noi diciamo che qualcosa è reale se incide sul mondo fisico. Posso quindi dire che oggetti del terzo mondo esistono perché vanno a modificare il mondo fisico. Che senso ha distinguere un terzo mondo? Uno potrebbe dire che il mondo 3 in realtà è riducibile al primo o al secondo o a entrambi. La risposta sta nell'autonomia. Le teorie, come i libri, hanno qualcosa in più rispetto agli stati mentali. Es: la "Critica della ragion pura": tutto ciò che Kant aveva in testa è stato materializzato. Ma se dico che in quel libro c'è qualcosa di più, chi lo legge lo può interpretare in modo nuovo. Ogni prodotto della mente umana ha l'autonomia di creare nuovi pensieri. All'inizio sono semplicemente l'esplicazione delle idee dell'autore o dell'artista, poi acquistano forma propria (il bambino nella pancia della mamma è un tutt'uno con lei, quando nasce acquista una sua vita propria). Dice Popper: facciamo un esperimento mentale, supponiamo che ci sia un cataclisma che distrugge ogni cosa. Solo pochi uomini sono sopravvissuti. L'umanità dovrà ripartire da zero (soprattutto se tra questi non ci sono scienziati). Ma supponiamo che qualche biblioteca o museo non venga distrutto, i sopravvissuti potranno risollevarsi più facilmente.

Pensiero politico e sociale
Per Popper i problemi delle scienze sociali sono per lo più trattati con metodi essenziali, cioè attraverso definizioni astratte e affermazioni di principio. Questa è, a suo giudizio, una delle fondamentali ragioni della loro arretratezza. Con Galileo e Newton la fisica cominciò a ottenere successi al di là di ogni attesa, lasciando molto indietro tutte le altre scienze, e dal tempo di Pasteur - il Galileo della biologia - si può sostenere che anche le scienze biologiche si sono messe su una via analoga. Le scienze sociali, invece, non hanno ancora trovato il loro Galileo. Non c'è nessuna scienza che consista nella pura osservazione, ci sono solo scienze che teorizzano in modo più o meno consapevole e critico. Ciò vale anche per le scienze sociali.
Come tutte le altre scienze, anche le scienze sociali danno o meno risultati utili, sono interessanti o insulse, fertili o sterili, in diretto rapporto con l'importanza o l'interesse dei problemi di cui si tratta; e naturalmente anche in diretto rapporto con l'onestà e la sincerità, la linearità e la semplicità con cui questi problemi vengono affrontati. Non è detto che debba sempre trattarsi di problemi teorici. Seri problemi di carattere pratico come il problema della povertà, dell'analfabetismo, della repressione politica e dell'insicurezza giuridica sono stati importanti punti di partenza della ricerca sociale. Ma questi problemi pratici inducono a riflettere, a teorizzare, e quindi danno luogo a problemi teorici. Per Popper la sola via aperta alle scienze sociali è di abbandonare del tutto il verbalismo e di affrontare i problemi pratici del nostro tempo con l'ausilio dei metodi teorici che sono fondamentalmente gli stessi in tutte le scienze. Cioè il metodo per tentativi ed errori. Popper chiama società chiusa, la società magica o tribale o collettivista e società aperta la società nella quale i singoli sono chiamati a prendere decisioni personali. Una società chiusa può essere giustamente paragonata a un organismo. La cosiddetta teoria organica o biologica dello stato può essere applicata in larga misura ad essa. Una società chiusa assomiglia a un gregge o a una tribù per il fatto che è un'unità semi-organica i cui membri sono tenuti insieme da vincoli semi-biologici: parentela, vita in comune, partecipazione agli sforzi comuni, ai pericoli comuni, alle gioie comuni e ai disagi comuni. In una società aperta, molti membri si sforzano di elevarsi socialmente e di prendere il posto di altri membri. Ciò può condurre, per esempio, a un fenomeno sociale importante come la lotta di classe. Noi non possiamo trovare niente di simile alla lotta di classe in un organismo. Le cellule o i tessuti di un organismo che si dice talvolta corrispondono ai membri di uno Stato, possono anche competere tra loro per la nutrizione; ma non c'è alcuna tendenza inerente per esempio nelle gambe a diventare cervello o in altre membra del corpo a diventare il ventre. Poiché non c'è nulla nell'organismo che corrisponda a una delle più importanti caratteristiche della società aperta, cioè la competizione fra i suoi membri per il conseguimento di uno status superiore, la cosiddetta teoria organica dello stato è fondata su una falsa analogia. La società chiusa, d'altra parte, non presenta tendenze siffatte in misura rilevante. Le sue istituzioni, comprese le sue caste, sono sacro-sante: sono tabù . La società chiusa è caratterizzata dalla fede nei tabù magici. mentre la società aperta è quella nella quale gli uomini hanno imparato ad assumere un atteggiamento in qualche misura critico nei confronti dei tabù e a basare le loro decisioni sull'autorità della propria intelligenza (dopo la discussione pubblica). La sua caratterizzazione della società chiusa come società magica e della società aperta come società razionale e critica impedisce naturalmente di applicare questi termini senza idealizzare la società in esame. L'atteggiamento magico non è affatto sparito dalla nostra società, neppure nelle più "aperte" società finora realizzate e ritengo improbabile che possa mai sparire completamente. Nonostante ciò, sembra sia possibile fornire qualche utile criterio della transizione dalla società chiusa alla società aperta. La transizione ha luogo quando le istituzioni sociali sono per la prima volta consciamente riconosciute come fatte dall'uomo e quando la loro conscia modifica è discussa sotto il profilo della sua convenienza per il conseguimento dei fini od obiettivi umani. O, per indicare la cosa in maniera meno astratta, la società chiusa si disgrega quando la soprannaturale riverenza con la quale l'ordine sociale è considerato cede il posto alla interferenza attiva e al consapevole perseguimento di interessi personali o di gruppo.
Come abbiamo visto, nel 38-39 Popper era emigrato in Nuova Zelanda (dove sta per tutta la guerra) insegnando all'università e al college. Qui scrive due libri di filosofia politica "La società aperta e i suoi nemici" e "Miseria dello storicismo". Scrive queste opere perché si domanda come mai quasi tutta Europa era sotto il totalitarismo. Il fascismo, il nazismo e il comunismo sovietico sono per Popper esempi di società chiuse. I nemici della società aperta sono a detta di Popper tanto gli storicisti (coloro cioè che ritengono che sia possibile profetare sul futuro dell'umanità, in quanto esistono leggi necessarie dello sviluppo storico) quanto gli utopisti (coloro cioè che vedono possibile ]a creazione di una società perfetta). Tra l'altro storicismo ed utopismo spesso hanno camminato mano nella mano sui sentieri della storia (ciò vale, ad esempio, per Platone, ma anche per Marx).
Nonostante la molteplicità delle riflessioni intorno alla problematica utopica che le opere di Popper contengono, tre sono le idee più rilevanti. Popper critica l'utopismo in quanto questo si fonda su un grave errore metodologico e conduce inevitabilmente alla violenza. Inoltre l'utopismo ritiene erroneamente che lo scopo fondamentale della politica consista nel conseguire la felicità dei cittadini. Secondo Popper, in linea di massima, due sono gli atteggiamenti antiteci che, per tentare di risolvere i problemi e le difficoltà sociali, possono essere assunti, e cioè quello gradualistico o riformistico e quello olistico o utopistico. A suo avviso il modo di pensare utopistico non solo non rappresenta un livello elevato, ma anzi è addirittura caratteristico di una fase prescientifica e si fonda su un grave errore metodologico. Infatti, gli utopisti non si accorgono di non poter mai cogliere con uno sguardo d'insieme l'intera realtà sociale, di non poter, cioè, mai afferrare una situazione sociale concreta ed intera dal momento che essi, per motivi logici, devono sempre trascurare degli aspetti. Tuttavia, gli utopisti non contenti di far uso di un metodo non esistente, redigono sulla sua scorta anche dei piani per ricostruire la società nella sua interezza. In tal modo, essi cadono inevitabilmente, per quel che riguarda la pratica politica, nel totalitarismo. Per gli utopisti, infatti, "il controllo dev'essere totale, poiché se una qualunque zona della vita sociale non fosse controllata in tal modo, vi si potrebbero annidare quelle forze pericolose che conducono a cambiamenti imprevisti". Di fatto però per svariati motivi, è impossibile controllare tutti i rapporti sociali, compresi quelli personali, che il termine società comprende. E questo se non altro perché ogni volta che controlliamo dei rapporti sociali, ne creiamo degli altri in quantità che a loro volta vanno controllati. Cioè l'impossibilità è una impossibilità logica, il tentativo conduce ad una regressione infinita. Eppure per Popper non può esservi dubbio alcuno che gli utopisti nei loro piani tentano precisamente questa impossibilità. Per lui, l'utopismo è indissolubilmente legato alla violenza. Infatti, anche se l'utopismo ama presentarsi nelle forme di un razionalismo, in realtà non è altro che uno pseudorazionalismo. Del resto, l'utopismo ha spesso espresso con gli ideali di Platone (i filosofi - re) una richiesta di potere in base a delle doti superiori. Tale richiesta è totalmente estranea all'atteggiamento del vero razionalista, il quale sarà sempre consapevole di quanto poco sa, e del semplice fatto che, qualsiasi facoltà critica o ragione possegga, egli ne è debitore ai rapporti intellettuali con gli altri. Sarà, dunque, portato a giudicare gli uomini fondamentalmente uguali, e a vedere nella ragione umana un legame che li unisce. La ragione per lui è esattamente il contrario di uno strumento di potere e di violenza: egli vede in essa un mezzo cui sottomettere il potere e la violenza. Di fatto, l'utopismo, a suo avviso, alimenta necessariamente, cioè per motivi logici, la violenza. "Che il metodo utopistico - scrive Popper -, che elegge uno stato ideale della società come scopo cui tutte le azioni politiche devono tendere, possa generare violenza, è dimostrabile nel modo seguente. Dato che non è possibile determinare i fini ultimi delle azioni politiche scientificamente, o con metodi puramente razionali, le differenze d'opinioni circa le caratteristiche dello stato ideale non possono venire appianate col metodo dell'argomentazione. Esse avranno almeno in parte il carattere dei contrasti di natura religiosa, e non può esservi tolleranza fra religioni utopistiche diverse". L'utopista dovrà così riuscire vincitore o vinto nei confronti dei suoi rivali, dovrà sforzarsi di essere implacabile nell'eliminarli. Infatti, la via che conduce alla meta utopistica è lunga. La razionalità dell'azione politica esige, quindi, costanza di intenti per molto tempo a venire; e ciò può realizzarsi soltanto se non ci si limiterà a sconfiggere le religioni utopistiche rivali, ma si eliminerà il più possibile la loro memoria. L'impiego dei metodi violenti nella soppressione delle tendenze rivali diventa ancor più urgente se consideriamo che il periodo di edificazione dell'utopia può essere un'epoca di rivolgimenti sociali. In un periodo siffatto anche le idee possono mutare. Così quel che appariva a molti desiderabile all'epoca in cui fu stabilito il progetto utopico, può risultare in seguito meno desiderabile. In tal caso la concezione utopica nel suo complesso rischia di infrangersi. E' necessario precisare che quando Popper accusa Platone o Hegel di essere precursori del totalitarismo del Novecento, non intende affermare che questi filosofi avrebbero appoggiato o desiderato il totalitarismo, ma che le loro idee, diffondendosi, hanno contribuito a creare una mentalità che ha facilitato l'affermazione delle dittature (pensiamo alla concezione hegeliana dello Stato etico, fatta propria dal Fascismo).

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