OFFRO ANNUNCI DI QUALSIASI GENERE GRATIS!! CONTATTATEMI SU EMAIL LINKIAMOCI@EMAIL.IT!!

Ultra torrent

Chat

Tutto di tutto Headline Animator

giovedì 25 novembre 2010

Canto II del purgatorio divina commedia

Canto II
Il sole aveva già toccato l'orizzonte il cui cerchio meridiano sovrasta col suo punto più alto (lo zenit) Gerusalemme;

e la notte, che ruota intorno alla terra agli antipodi del sole, sorgeva dal Gange, nella costellazione della Libra (con le Bilance: durante l'equinozio di primavera, quando il sole è nella costellazione dell'Ariete), che le cade di mano quando (dopo l'equinozio d'autunno: il sole entra allora nella Libra) supera la durata del giorno (entrando nella costellazione dello Scorpione);

in modo che nel purgatorio le gote, prima bianche, poi rosse, della leggiadra Aurora col passare del tempo divenivano gialle.

I due poeti sono emersi sul lido del purgatorio poco prima dell'alba. La prima luce è apparsa loro mentre si avviavano in silenzio verso la spiaggia bagnata dall'onda per compiere i riti prescritti dal veglio: un rito lustrale, inteso a cancellare il passato, il peso del male e dell'errore, e un rito orientato verso il futuro, una promessa di umiltà gioiosa e riconoscente. La descrizione dell'alba (canto I, versi 115-117), animata da una stilizzata contrapposizione della luce alle tenebre, si era risolta in una notazione soggettiva (conobbi), in un grido trionfale, in una panica professione di fede nella bellezza del creato. Il canto Il inizia con una precisazione rigorosa, fondata sulla scienza astronomica, dell'ora nella quale ha inizio, dopo i due riti di purificazione, il cammino dei due pellegrini. Il sole è apparso all'orizzonte del purgatorio, situato agli antipodi dì Gerusalemme. Come nei versi 112-115 del canto XXXIV dell'Inferno, è messa anche qui in rilievo l'esatta opposizione, agli estremi di un segmento che passa per il centro della terra, della montagna sulla cui cima l'uomo visse innocente e peccò, e della città in cui Cristo versò il suo sangue per redimere il genere umano dal peccato. La prima terzina del canto non contiene dunque, come molti critici ritengono, una semplice precisazione erudita, priva di risonanze che oltrepassino il senso letterale, poiché l'astronomia - come del resto ogni branca del sapere - non si può mai considerare in Dante nella sua opaca empiricità, essendo permeata, nella sua stessa geometrica esattezza, di ragioni morali, di significati che trovano nella sfera del divino la loro determinazione ultima.
Nella seconda terzina viene ulteriormente indicata l'ora della gran secca (cfr. Inferno, canto XXXIV, verso 113) che occupa l'emisfero boreale, il quale ha come punti estremi le sorgenti dell'Ebro e la foce del Gange, distanti fra di loro 180 gradi: tramontando, nel momento in cui sorge all'orizzonte del purgatorio, il sole a Gerusalemme, 90 gradi ad oriente di Gerusalemme là dove il Gange sfocia nell'Oceano Indiano, è mezzanotte. Dovendo infatti il sole percorrere l'intera rotazione intorno alla terra (360 gradi, una circonferenza completa) in 24 ore, l'arco di circonferenza di 90 gradi sarà percorso in 6 ore (per cui alla mezzanotte alle foci del Gange corrisponderanno le sei di sera a Gerusalemme) e quello di 180 gradi in un tempo doppio (per cui alle 1 6 pomeridiane di Gerusalemme corrisponderanno lé 6 antimeridiane del purgatorio). Questa seconda terzina è stata giudicata da taluno (Pistelli) superflua, ma a questa osservazione si deve obiettare che ciò che ad una lettura immediata può apparire puro sfoggio di crudizione, evoca, nella poesia di questo passo, il senso dell'ordinato svolgersi delle vicende del cosmo, per cui ad ogni apparizione di astri in un emisfero della volta celeste risponde un'apparizione contraria agli antipodi, in un quadro smisurato in rapporto alle nostre capacità di giudicare e intendere, ma che trova la sua esatta misura nella mente ordinatrice di Dio. Per quello che riguarda i particolari di questa terzina, è arduo non cogliere la sicura energia che si sprigiona da un'espressione pregnante come che opposita a lui cerchia, la quale ha la funzione di conferire, attraverso una determinazione razionale, un più intenso rilievo al miracolo della notte personificata (regge in mano le bilance) che emerge, ai limiti del mondo, dalle acque del mitico Gange.
Neppure la terzina che trae le conseguenze (sì che ... ) dalle premesse poste nelle due precedenti, ha generalmente incontrato il favore dei critici. Il trasformarsi delle guance dell'Aurora da bianche e vermiglie in rance è, sempre per il Pistelli, "mutamento non bello e non desiderabile", poiché "l'oro scintillante del sole non può farci
in nessun modo pensare a un viso ingiallito per vecchiezza mentre è tutt'insieme e immagine e causa e fonte di forza, di vita piena e vigorosa. In realtà questa immagine (le guance della bella Aurora) che riproduce modi della tradizione letteraria classica, filtrati attraverso l'esperienza stilnovistica ed adeguati all'andamento intellettualmente robusto, aderente alle determinazioni del reale (per troppa etate) proprio della poesia della Commedia, è valida in virtù della semplicità del disegno, della stringatezza delle sue determinazioni dell'ordine logico in cui queste risultano disposte.

Ci trovavamo ancora lungo la riva del mare, come coloro che meditano sul cammino da percorrere, i quali con l'animo camminano e col corpo stanno fermi.

Nella sua struttura questa terzina riecheggia la musica stanca dei versi 118-120 del I canto. I due pellegrini sono soli, lungo la riva di quel mare sul quale videro compiersi - dopo la lunga, interminabile notte infernale -il rinnovato, prodigio dell'alba. Pensano al cammino da percorrere, che sarà duro anch'esso ed aspro, per quanto illuminato da una Grazia ormai benigna, ed evidente nel suo fulgore.
Virgilio, il savio gentil, che tutto seppe, non è più qui la guida autorevole che è stato nell'inferno, perché "se nell'inferno la sapienza dell'antica poesia poteva dire tutto, poiché all'inferno è sufficiente la sola natura umana, ora Virgilio stesso è di fronte a un mondo totalmente nuovo non più colmato dalla ragione umana: nel canto XI dell'Inferno la ragione di Virgilio comprende in sé e domina perfettamente la struttura infernale. Ora qui no: il paesaggio stesso è, fin dal primo canto, espressione di un vuoto che non può essere colmato dalla natura umana, ma invoca un aiuto superiore che' elevi la natura a una profondità metafisica più intensa, alla vita di Dio stesso" (Montanari).

Ed ecco, allo stesso modo in cui mentre si abbassa, tramontando, sulla superficie del mare, il pianeta Marte colora di rosso all'avvicinarsi del mattino, a causa dei densi vapori che lo avvolgono,

si palesó ai miei occhi, e tale possa io vederla, nuovamente (allorché, morto, mi troverò ancora una volta sul lido del purgatorio), una luce (il volto dell'angelo nocchiero) avanzante sul mare con tanta celerità, che nessun volo uguaglia il suo movimento.

Dopo avere per poco distolto lo sguardo da essa per chiedere schiarimenti a Virgilio, la rividi divenuta più luminosa e più grande.

Poi mi apparve ai due lati di essa un bianco di cui non riuscivo a precisare la forma, e sotto, questo bianco (sono le ali dell'angelo) un altro bianco si rese gradatamente manifesto (è la veste dell'angelo).

I versi 10-12 hanno segnato come una battuta d'arresto nella esposizione oggettiva dei fatti, una pausa nello svolgersi della narrazione, un meditativo ripiegamento dell'anima, ancora trepidante dopo la dolorosa prova infernale, ancora incerta sui modi della propria redenzione, e come soverchiata dall'atmosfera di miracolo nella quale si trova immersa (le terzine iniziali del canto hanno ribadito il trionfo della luce come vittoria implacabile, necessaria - irriducibile alle sfumature, ai cedimenti, che caratterizzano la nostra soggettività - legata ad un ritmo che, per vastità di tempi e spazi, e per rigore, di sviluppi, paurosamente ci sovrasta). A partire dal verso 13 la narrazione riprende, la trepidazione si muta in aspettazione colma di fiducia, il paesaggio, carico sin qui di presentimenti ma immobile, accoglie in sé un movimento velocissimo. E' una semplice luce, che determinata per analogico richiamo all'intonazione «Scientifica» dell'esordio, in termini astronomici appare dapprima . corrusca, minacciosa (l'accenno a Marte, la pesantezza dei vapori che lo avvolgono, l'energia espressa da rossieggia collocato in fine di verso sembrano per un attimo suscitare un clima di minaccia analogo a quello in cui venne celebrata, nella dignitá profetíca dell'ultimo discorso di Varmi Fucci a Dante, la travolgente vittoria di Moroello Malaspina), per poi spogliarsi di ogni terrestre opacità nel lume del verso 17, e successivamente cingersi, da tre lati, di un ancora informe candore. Il realismo, in virtù del quale Dante identificava immediatamente nella prima cantica l'aspetto essenziale di una forma del mondo sensibile, di un atteggiamento umano, di un carattere, cede il posto nel Purgatorio ad una rappresentazione graduale della realtà, poiché la realtà del purgatorio non si configura nella definitività di una sentenza già applicata e pertanto nella stasi, che un solo colpo d'occhio è in grado di rilevare plasticamente, ma in quanto itinerario verso la perfezione, in quanto espletamento di atti simbolici che hanno luogo nel tempo si rivela progressivamente all'anima che si è resa degna di percepirla. Questa, gradualità nella manifestazione del reale - in cui artisticamente si concreta il processo di graduale conquista del Bene da parte delle anime purganti - è alla base dello stile della seconda cantica, che alcuni critici hanno definito "pittorico", in contrapposizione a quello più rilevato, caratterizzato come "scultoreo", dell'Inferno.

Nessun commento:

Qual'è il vostro broswer?