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domenica 7 novembre 2010

Talmud

Talmud

Prima di introdurre il contenuto del Talmud è indispensabile sottolineare come, all'interno del pensiero ebraico, possiamo individuare, anche solo attraverso una lettura superficiale, diversi piani di lettura elaborati dai più antichi Maestri di Israele e dalla scuole che sin dal I sec. a.e.v. hanno fatto il loro ingesso all'interno della scena culturale e sono entrati appieno nella tradizione ebraica. Abbiamo prima parlato di una “Torah Scritta” e di una “Torah Orale”. Il Talmud è la raccolta e rielaborazione della Legge trasmessa da Dio a Moshe sul Monte Sinai quindi della cosiddetta “Torah Orale”. A questo punto è già possibile distinguere due piani di interpretazione che contraddistinguono e convivono assieme non soltanto all'interno del pensiero ebraico ma vengono a costituire la struttura portante del Talmud: Halachah eAggadah.

L'Halachah coglie l'aspetto giuridico e normativo (Halach in ebraico significa “via”), l'Aggadah (Racconto) invece raccoglie l'aspetto narrativo-omelitico. Vorrei qui riportare una breve citazione di Emmanuel Levinas che comprende appieno la duplice valenza delle due componenti della Legge ebraica che spesso sembrano in antitesi ma che in realtà sono due facce della stessa medaglia ( per un approfondimento rimando anche all'opera di Chaim Nachman Bialik Halachàh e Aggadah, a cura di Andrea Cavalletti, Bollati Boringhieri, Torino 2006)

Emmanuel Levinas in una delle sue ri-letture talmudiche contenute in “Dal Sacro al Santo. La tradizione talmudica nella rilettura dell’ebraismo postcristiano” commentando il Trattato Baba Kama 60a-60b coglierà raffinatamente quella sottile differenza tra Halachàh e Aggadah « Rabbi Assì e Rav Anì erano seduti davanti a Rabbi Jtzchaq, il fabbro. L’uno gli chiese di trattare di Halachàh, e l’altro di trattare di Aggadah. Quando quegli cominciava una Halachàh, il secondo glielo impediva; quando cominciava un Aggadah, il primo glielo impediva.

Rabbi Jtzchaq è fabbro. Sa come maneggiare pacificamente il fuoco. Sicuramente, non è qui per caso.[…]

Allora disse loro: Vi racconterò una parabola. Questa è simile a un uomo che ha due mogli, una giovane e una vecchia; la giovane gli strappava i capelli bianchi, la vecchia gli strappava i capelli neri:al punto che diventò calvo dai due lati.

[…] Esistono Aggadah e Halachàh. Aggadah e Halachàh sono nel nostro testo paragonate a giovinezza e vecchiezza. Io poco fa le definivo altrimenti, dicendo: L’Halachàh è il modo di comportarsi; l’Aggadah è il significato filosofico – religioso e morale – di questo comportamento. Ma non è sicuro che le due definizioni si contraddicano. E’ evidente che i giovani giudicano l’Halachàh come capelli grigi, pure forme: forme che hanno perduto il loro colore. La moglie giovane li strappa: i giovani interpretano fino a sradicare le radici dei termini. La moglie vecchia è il punto di vista tradizionale: l’ortodossia che prende i testi alla lettera. Li conserva nel loro deterioramento. Per lei non ci sono testi da ringiovanire: il capello bianco va ancora bene. Ha il suo valore. Strappa invece i capelli neri, che rappresentano la virilità, l’impazienza e l’interpretazione apportatrici di rinnovamento. Si tratta della stessa divisione della comunità d’Israele, della sua spaccatura tra giovinezze e non-giovinezza. Dappertutto allora c’è violenza. Siffatta divisione in giovani e vecchi, siffatta separazione in rivoluzionari e tradizionalisti, è condannata. Contro il culto della tradizione e contro il culto della modernità! In essi va perduta la sovranità dello spirito. Gli uni vogliono rinnovare fino al recupero di una religione a base di danze e spettacoli; gli altri, per rispetto dei capelli bianchi, vedono dappertutto frivolezza. Ora, lo spirito non è bigamo! Il terribile di questa bigamia dello spirito simboleggia le due donne, la vecchia e la giovane; la maturità come conservatorismo, e la giovinezza come ricerca del nuovo ad ogni costo. Rabbi Jtzchaq il fabbro trae una conclusione:

Allora egli disse loro: Vi darò una storia che piacerà a tutt’e due.

In altre parole: Vi darò una Halachàh che è un’Aggadah e un’Aggadah che è una Halachàh.

Se un fuoco divampa e raggiunge dei rovi, e avanza da sé, allora chi appiccò il fuoco deve pagare.

Ma ecco subito la Halachàh trasformata in Aggadah, o, più esattamente, messa in relazione con una Aggadah letta come Halachàh:

Il Santo- benedetto sia- dice: Ho acceso un fuoco in Sion, come è detto: “ Egli accende un incendio in Sion, che ne ha divorato perfino le fondamenta” ( Lamentazioni4, 11) e la ricostruirò un giorno col fuoco, com’è detto ( Zaccaria 2,9 ): “E io sarò per lei una muraglia di fuoco tutt’intorno, e sarò motivo di gloria in mezzo ad essa.»

Dal Sacro al Santo, introduzione di Sofia Cavalletti, Città Nuova, Roma 1985 pp. 154-156.

Il Talmud che significa propriamente “studio, insegnamento”- ma che può assumere anche il significato di “dottrina”- indica non solo la “Torah Orale” ma anche, in senso lato, il libro che contiene gli insegnamenti trasmessi a Moshe. Abbiamo, a partire dalla complessità della tematica e soprattutto dalle differenti scuole e Accademie, due diverse scuole talmudiche che hanno redatto due distinte edizioni del Talmud: il Talmud babilonese Talmud Bavli ( quello a cui generalmente si fa riferimento ) e il Talmud gerosolimitano o palestinese.

Una prima codificazione della Torah Orale è avvenuta attorno al II sec. e.v. con Rabbi Yehudah ha-Nassì ed è proseguita sino al III / IV sec. ; a questa suddivisione corrispondono anche i due “livelli” attraverso cui il Talmud si articola la Mishnah (Ripetizione) che è la raccolta delle più antiche discussione dei Maestri e dei Sapienti di Israele e la Gemarah (Completamento) che fornisce un commento alla Mishnah.

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