Giovanni Calvino
Lo studioso di Ginevra
Giovanni Calvino nacque nel 1509 a Noyon, nel nord della Francia. Studiò alle università di Parigi, Orléans e Bruges e divenne un ammiratore di *Erasmo e dell'Umanesimo. Egli stesso nel 1532 pubblicò un'opera di cultura umanistica (un commento al De clementia del filosofo latino Seneca), che tuttavia non ebbe l'impatto sperato. Più o meno in questo stesso periodo Calvino si convertì:
Poiché ero così fortemente devoto alle superstizioni del papato da non essere facilmente districato da un così profondo abisso di fango. Dio, mediante una conversione improvvisa alla docilità, domò e diede una struttura ricettiva alla mia mente, troppo ostinata per gli anni che aveva.
Si dedicò immediatamente allo studio della teologia. Nel 1533 fu accomunato a un discorso d'inaugurazione, moderatamente protestante, del nuovo rettore dell'Università di Parigi, Nicholas Cop. Calvino dovette abbandonare la città in tutta fretta. L'anno dopo, diversi "placards", manifesti violentemente polemici contro la messa, furono affissi in varie parti di Parigi — uno addirittura sulla porta della camera da letto reale, se la notizia è affidabile! Il rè, Francesco I, s'infuriò e lanciò un energico attacco contro gli evangelici. Calvino lasciò la Francia per stabilirsi a Basilea, dove continuò a studiare e a scrivere.
Entro l'estate del 1535 aveva completato la prima stesura della sua Christiance religionis institutio (Istituzione della religione cristiana).
Ma la sua pacifica vita di studio era destinata a durare poco. Nel 1536, mentre era in viaggio per Strasburgo, a causa di guerre locali, fu costretto a cambiare strada e a fare tappa a Ginevra — "la più significativa deviazione nella storia europea", come ha detto qualcuno. Ginevra aveva appena aderito alla Riforma, anche se in parte per motivi politici, vita Calvino fu grandemente rispettato, anche se i suoi desideri non furono sempre assecondati. Morì nel 1564.
Calvino non è stato trattato bene dal mondo della stampa. Egli stesso, nel 1559, scrisse che "mai un uomo fu assalito, punzecchiato e dilaniato dalla calunnia" quanto lui. Tali parole si sarebbero dimostrate più profetiche di quanto egli avesse mai pensato! Calvino è stato incolpato per la dottrina della predestinazione — così chiaramente insegnata da *Agostino, dalla maggior parte dei teologi medievali e da tutti i riformatori. Certo, Calvino la accentuò in qualche misura, ma non più di quanto avevano fatto alcuni teologi medievali, come Bradwardine. Egli è poi denigrato per la parte che ebbe nell'esecuzione dell'eretico Serveto (il quale rinnegava la dottrina della Trinità) — eppure i suoi contemporanei l'approvarono quasi all'unanimità, e molti di quelli che oggi sono considerati santi (come Tommaso Moro) perseguitarono gli eretici molto più crudelmente di lui.
Calvino dev'essere giudicato sulla base del contesto dei suoi tempi. Egli è accusato di essere stato il "dittatore di Ginevra" — in realtà, anche all'apice del suo potere, l'autorità che egli esercitò fu principalmente di ordine morale anziché legale; inoltre, prima di poter pubblicare i propri libri, Calvino doveva ricevere l'approvazione dal Consiglio municipale. Ovviamente, egli non era perfetto: si rendeva conto da solo di avere un carattere irascibile. Era intollerante e prendeva per scontato il fatto che l'opposizione al suo insegnamento non era altro che un'opposizione alla Parola di Dio — una pecca, questa, comune a tanti altri dei suoi tempi e dei nostri. In una certa misura, la responsabilità della cattiva fama di Calvino sarebbe da attribuirsi ai suoi discepoli, che spesso sconvolsero l'attento equilibrio della sua teologia rendendo primaria e fondamentale la dottrina della predestinazione, quando invece Calvino fu attento a mantenerla nel suo giusto àmbito. Calvino trasformò Ginevra. A tal punto che il riformatore scozzese John Knox la dichiarò "la più perfetta scuola di Cristo sulla terra, dai giorni degli apostoli a oggi. Io ammetto che altrove Cristo è veramente predicato; ma da nessuna parte ho mai visto una religione e delle pratiche così autenticamente riformate". Ciò fu senz'altro l'effetto della rigida disciplina di Calvino, il quale, a quelli che non amavano tale disciplina, riservò questo suggerimento: "Farebbero bene a costruirsi una città dove poter vivere a loro piacimento, visto che non vogliono vivere qui, sotto il giogo di Cristo". Poteva essere, tuttavia, anche la conseguenza di un massiccio afflusso in città di profughi francesi e di altre nazioni, attirati soprattutto dalla loro ammirazione di Calvino.
L'interesse primario di Calvino restò sempre quello per la sua patria (la Francia), e molti di coloro che andavano a Ginevra ritornavano in patria come pastori delle sempre più numerose chiese protestanti francesi. Ai fini della loro istruzione, e rifacendosi al sistema educativo che aveva conosciuto a Strasburgo, Calvino fondò un'Accademia, vera e propria antesignana della moderna università di Ginevra. Calvino dichiarò — e in parte aveva ragione — di avere un amore naturale per la brevità. Ciononostante, fu uno degli autori più prolifici nella storia della chiesa. La sua produzione sarebbe stata considerevole per uno studioso a pieno tempo — eppure Calvino la realizzò inserendola in un ritmo di vita che avrebbe logorato, come minimo, un paio d'uomini di calibro inferiore al suo. A parte le molte responsabilità che ebbe a Ginevra, Calvino fu senz'altro il più importante leader della rete internazionale di chiese riformate. Le sue lettere possono dare corpo a molti tomi, e l'elenco dei loro destinatari costituirebbe un vero e proprio annuario dell'Europa della Riforma.
Calvino scrisse molti trattati polemici: numerosi erano quelli indirizzati contro l'Anabattismo. Ma ancor più importanti furono i suoi attacchi al Cattolicesimo romano. Nel 1539, durante l'esilio di Calvino da Ginevra, il cardinale Sadoleto scrisse ai ginevrini esortandoli a ritornare all'ovile romano. La lettera fu fatta pervenire a Calvino, ed egli, in un solo giorno, scrisse una Responsio ad Sudateti epistulam (Risposta a Sadoleto) in latino. Si tratta di una delle sue opere migliori. Fece pubblicare anche gli Atti delle prime sessioni del •Concilio di Trento — accompagnati da un Antidoto. Calvino fu capace di una satira pungente quanto quella di Erasmo, come si può notare nel suoTrattato delle reliquie (lett. Ammonizione in cui si dimostra quanto gioverebbe alla cristianità un inventario dei corpi e delle reliquie dei santi).
Di nuovo, consideriamo quanti frammenti [della croce] siano sparpagliati qua e là per il globo. La semplice enumerazione di quelli che io ho registrato riempirebbe senz'altro un grosso volume. Non vi è città, per quanto piccola, che non abbia un frammento, e ciò, non soltanto nella chiesa principale, ma anche nelle chiese parrocchiali. Non vi è abbazia, per quanto povera, che non ne abbia un campione. In alcuni luoghi esistono frammenti più grossi, come a Parigi nella Santa Cappella, o a Poitiers e a Roma, dove si dice che un crocifisso di una certa grandezza sia interamente formato da essi. In breve, se tutti i pezzi rintracciabili fossero radunati insieme, formerebbero un bei carico per una nave, benché l'Evangelo affermi che una sola persona fu in grado di portarla [la croce]. Che sfrontatezza, quindi, riempire tutto il mondo di frammenti che richiederebbero più di trecento uomini per trasportarli!... Non contenti, poi, di imporsi ai rozzi e agli ignoranti, mostrando un pezzo di legno comune come se fosse il legno della croce, essi l'hanno in effetti dichiarato degno di adorazione. Questa dottrina è assolutamente diabolica Trattato delle reliquie
Calvino, pur essendo personalmente contrario, si trovò costretto a scrivere anche contro i luterani. Due pastori luterani, Westphal e Hesshusius, attaccarono la sua dottrina della Cena del Signore, ed egli replicò. Alla fine, abbandonò la controversia con una certa tristezza, perché si considerava un discepolo di *Lutero. Non tutti i trattati di Calvino furono di natura polemica. Uno dei migliori è II piccolo trattato sulla Santa Cena, che espone il suo insegnamento in un modo conciliatorio, come la "via di mezzo" fra Zwingli e Lutero. Per tutto il tempo che rimase a Ginevra, Calvino predicò in maniera costante. Dal 1549 in poi, i suoi sermoni furono stenografati. Un certo numero di essi fu pubblicato durante il xvi secolo; tutti gli altri (che costituivano la parte più numerosa) furono conservati, sempre in forma stenografata, nella biblioteca di Ginevra. Ma, incredibilmente, finirono per essere venduti a peso nel 1805, con il risultato che un buon 75% di essi andò perso! Attualmente sono in fase di pubblicazione quelli che sono rimasti. Calvino scrisse commentari su molti libri della Bibbia — dalla Genesi fino a Giosuè, poi i Salmi, tutti i libri profetici (tranne Ezechiele capp. 21- 48), e tutto il Nuovo Testamento (eccetto II e ili Giovanni e Apocalisse). I commentari di Calvino, spesso basati su sue lezioni o predicazioni precedenti, sono fra i pochissimi libri scritti prima del secolo scorso che abbiano ancora valore per la comprensione del significato del testo (rispetto a quelli che ai nostri giorni potrebbero essere letti più per l'edificazione che per la luce che gettano sul testo biblico). Calvino è l'unico autore in assoluto che appartenga senza ombra di dubbio sia alla categoria dei migliori teologi sia a quella dei migliori commentatori.
Calvino è meglio noto per la sua opera intitolata Istituzione della religione cristiana (comunemente chiamata Y Istituzione). Mentre egli era ancora in vita, ve ne furono quattro edizioni principali in latino. La prima fu quella del 1536. La lunghezza della pubblicazione era quella tipica di un libro tascabile: constava di sei capitoli, i primi quattro dei quali seguivano il modello dei catechismi di Lutero. All'ultimo momento, Calvino aggiunse una lunga dedica al rè, Francesco I, che perseguitava gli evangelici francesi tacciandoli di anabattisti. Calvino presentò la sua opera al re come un'apologia o difesa della dottrina evangelica. La seconda edizione, che apparve nel 1539, era tre volte più lunga della prima. Quella successiva, del 1543, non è che fosse molto più lunga, ma rifletteva senz'altro l'influenza di Bucero e del soggiorno di Calvino a Strasburgo. L'edizione definitiva fu quella del 1559 ed era circa cinque volte più lunga della prima. Calvino affermò: "Non mi sentivo soddisfatto finché l'opera non fosse stata sistemata nell'ordine in cui compare ora". Accanto a queste quattro edizioni in lingua latina vi furono delle traduzioni in francese, per lo più fatte da Calvino stesso. L''Istituzione non era un semplice trattato teologico — era una "somma di pietà" (tale era il frontespizio dell'edizione del 1536), in vista dell'edificazione del popolo francese. Le edizioni in lingua francese sono importanti per la storia dello sviluppo della lingua, dato che nessun'altra opera di un simile spessore era mai apparsa prima in francese.
Qual era lo scopo dell'Istituzione Calvino stesso lo illustrò nella prefazione all'edizione del 1539. Poiché credeva nella brevità, non volle invischiarsi in lunghe discussioni teologiche nei suoi commentari.
Trattò invece questo tipo di argomenti nell'Istituzione, che è dunque da considerare un ausilio accanto ai commentari e uno strumento di preparazione allo studio della Bibbia stessa. Quando si studia Calvino, è questo il modello che si dovrebbe seguire. Quando si fa uso dei commentari, si può consultare l'Istituzione per avere indicazioni teologiche; quando si legge l'Istituzione, si possono consultare i commentari (o dei sermoni) per giungere a una spiegazione più dettagliata dei brani della Scrittura citati.
. Quasi tutta la somma della nostra sapienza, quella che, tutto considerato, merita di essere reputata vera e completa sapienza, si compone di due elementi e consiste nel fatto che, conoscendo Dio, ciascuno di noi conosca anche sé stesso. Del resto, benché questi punti siano vicendevolmente uniti da olti legami, non è sempre agevole discernere quale preceda e sia causa dell'altro. In primo luogo, infatti, nessuno può guardare a sé stesso senza subito volgere il suo sentimento a Dio, da cui riceve vita e vigore... Questa sventurata rovina in cui ci ha ridotto la rivolta del primo uomo ci costringe a levare in alto gli occhi... Solo turbati dalle nostre miserie ci volgiamo a considerare i beni di Dio, e non possiamo volgerci a lui seriamente, se non dopo aver cominciato a essere insoddisfatti di noi stessi... D'altra parte, è noto che l'uomo non perviene mai alla conoscenza pura di sé stesso fino a quando non abbia contemplato la faccia di Dio e da essa sia sceso a guardare sé stesso. Infatti, a causa dell'orgoglio radicato in noi, ci sentiamo sempre giusti e completi, savi e santi, fin quando non siamo convinti da argomenti evidenti della nostra ingiustizia, impurità, follia e immondezza. Ora, non ne siamo convinti se gettiamo lo sguardo solamente sulle nostre persone e non pensiamo insieme anche a Dio, il quale è la sola regola a cui bisogna confrontare e allineare questo giudizio... E poiché intorno a noi non vi è nulla che non sia coperto e sfigurato da molte macchie, lo spirito ci è chiuso e come limitato dalle profanazioni di questo mondo; di sorta che, quanto non è completamente brutto come il resto, ci piace come se fosse purissimo. Istituzione della religione cristiana 1:1:1-2
E opportuno ricordare quanto abbiamo detto fin qui: Dio, nell'ordinarci mediante la Legge quanto è da fare, ci minaccia, se sgarriamo minimamente, col giudizio della morte eterna e così ci imbriglia come se dovesse saettare sul nostro capo. Se guardiamo a noi stessi e consideriamo solamente quel che abbiamo meritato e di quale condizione siamo degni, non ci rimane neppure un briciolo di speranza: come povera gente respinta da Dio, siamo affranti in dannazione, poiché l'osservare la Legge come richiesto, non solo è per noi difficile, ma oltrepassa le nostre forze e le nostre facoltà. In terzo luogo, abbiamo dichiarato che esiste un solo mezzo per sottrarci a una calamità così disastrosa e trarci fuori: Gesù Cristo essendo il Redentore, per mano del quale il Padre celeste, pietoso verso di noi secondo la sua misericordia infinita, ci ha voluti soccorrere, afferriamoci a questa misericordia con una fede ferma e affidiamoci a essa con una speranza costante per perseverare. Istituzione della religione cristiana 3:2:1
Di fronte al segno visibile occorre dunque saper vedere di quale realtà è rappresentazione e da chi ci è offerto. Il pane ci è dato, unitamente all'ordine di mangiarlo, come raffigurazione del corpo di Gesù Cristo; e a darlo è Dio stesso, verità assoluta e immutabile. Dato che egli non può ingannare ne mentire, ne consegue che realizza tutto ciò che dice. Se dunque nella Cena il Signore ci annuncia visivamente la comunione col corpo e sangue di Gesù Cristo, quello che riceviamo è realmente il corpo e sangue di Cristo. In caso contrario, se cioè non ci desse che pane e vino, noi mangeremmo il pane e berremmo il vino riconoscendo, certo, che il suo corpo e il suo sangue ci sono nutrimento e bevanda, ma la realtà spirituale sarebbe inesistente. Se così fosse, egli avrebbe istituito questo mistero per ingannarci?... Tutti riconosciamo dunque che, quando riceviamo il sacramento nella fede, secondo le indicazioni del Signore, siamo resi partecipi della sostanza del corpo e del sangue di Gesù Cristo. Come questo avvenga è da alcuni più chiaramente percepito e illustrato che da altri. In sintesi, possiamo dire che dobbiamo evitare ogni interpretazione carnale [cioè, la posizione luterana] e perciò innalzare i nostri cuori verso il ciclo e non pensare che il Signore Gesù sia degradato al punto da essere rinchiuso in elementi corruttibili [cioè, "in, con e sotto" il pane e il vino]. D'altra parte, non si deve sminuire l'efficacia di questo mistero e occorre perciò pensare che questo avviene per opera segreta e misteriosa di Dio e che il suo Spirito costituisce il mezzo che rende possibile questa partecipazione [al corpo e al sangue di Cristo], che definiamo perciò spirituale. Il Piccolo trattato sulla Santa Cena 16,60
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